Arte in Basilica

Arte

Esterno

La costruzione settecentesca, a croce latina, comprendeva cinque arcate era lunga 53 m circa e larga 27. E’ probabile che il disegno sia stato dello stesso architetto siracusano Rosario Gagliardi il somma degli artisti di costruttori di Noto, a cui si attribuisce anche Santa Maria Maggiore. Interessante era la facciata, di cui abbiamo un disegno ricavato da un grafico originale, andato perduto. Lo schema a due piani, con lesene corinzie a due campanili raccordati da volute, che si riscontra in altre chiese dell’isola, risente l’influsso dei grandi architetti romani del periodo barocco. Specifica però dell’ambiente e tradizione scultorea locale, era la ricca e fastosa varietà degli elementi decorativi, che rendevano la chiesa la più rifinita ed elegante della città. Dopo il crollo del 1869, il Di Gregorio progetto e realizzò la nuova facciata, basandosi sui testi classici del palladio e del Vignola e su altri manuali del 1800, dimostrando grande genialità inventiva e notevole abilità, nei lavori di scultura e perfino nella decorazione a stucco dell’interno; ma bisogna tener conto del contributo degli altri mastri locali. Per ragioni economiche, non venne ricostruita la prima arcata, e la lunghezza della navata si ridusse agli attuali metri 47 circa. La facciata e imponente e di notevole effetto scenografico. A tre ordini e misura metri 29,20 di larghezza e 30 di altezza. L’inferiore a otto colonne binate a corpo libero, in stile ionico, anteposte, sopra un possente basamento in calcare duro levigato, ad altrettante lesene. Elegante il portone centrale e due laterali con gli archi a sesto scemo o rotondo. Il secondo ordine, in stile corinzio, ha un bel finestrone con colonnine a due grandi, eleganti volute di raccordo. Nel terzo ordine composito, decorato con grandi rose finemente scolpite, le colonne non sono in linea con le sottostanti; ma il Di Gregorio dovette semplificare il progetto, conforme ai canoni classici per difficoltà economiche della arciconfraternita. Nella parte superiore della facciata che sovrasta il tetto della chiesa, lascio aperta la grande finestra centrale, per ottenere un bell’effetto dinamico di luce che penetra e di trasparenza di cielo azzurro, e nello stesso tempo, per lasciar passare il vento dominante di ponente ed evitare possibili crolli nel 1960 vi è stata collocata una statua in calcare dell’annunciazione, opera dello scalpellino ispicese Giuseppe Nobile.

Il Campanile

Demolito il precedente, nella facciata, per la sua posizione inadatta alla propagazione del suono, nel primo decennio del secolo, fu iniziata la costruzione dell’attuale torre, su progetto dell’ingegnere Vincenzo Tommasi, dal capo mastro Gaspare Capasso, ai quali si deve anche il cimitero di Ispica. I lavori si fermarono però alla possente base quadrata. Furono ripresi nel 1925-26 dal Capomastro Lorefice Salvatore, che innalza la costruzione fino alle campane. La parte superiore con la cupola è stata eretta e 154 dai mastri Nigro, Di Gregorio, di Giacomo, Ferraro e Giuseppe Fava, che saldó la grande croce di metri 4:04 – 100 kg, sulla punta del campanile alta ben 42 m. Nello stesso anno venne costruito il cosiddetto salone nel lato sinistro della facciata. La campana più antica e del 1811; le altre sono del 1953.

Il loggiato

Il loggiato esterno, recentemente restaurato, risale ai primi dell’ottocento, fino alla fine del secolo serviva per la fiera Franca di Pasqua, istituita il 14/8/1802. Le logge costarono 300 onse, anticipate dal barone Modica. La fiera subì le stesse vicende di quelle di Santa Rosalia a Santa Maria.

Interno

La navata centrale, che comprende quattro arcate di m. 3,80 ca. Al posto delle cinque originarie, la volta a botte, alta metri 17 circa, all’incrocio col transetto, si innalza su un tamburo ottagonale, la maestosa e armoniosa cupola, del diametro di metri otto e per 8,70 di altezza, sostenuta da quattro soldi pilastri, del perimetro di metri 18 circa l’insieme delle spinte si scarica, attraverso gli archi delle navatelle, alte m. 9,40, sui profondi rinfianco i laterali, nei cui interspazi sono ricavati gli altari, illuminati dalle finestre delle lunette, con un sapiente gioco di luci ed ombre.

Gli stucchi

Il pregio artistico della chiesa è costituito dai 13 grandi pannelli di stucco, in basso ed alto rilievo, che decorano la navata centrale, il transetto e il cappellone. Sono databili alla metà del 1700 e sono certamente l’opera più vasta e significativa del palermitano Giuseppe Gianforma. Formatosi alla scuola di Giacomo, lo stuccatore più importante del settecento siciliano, lavorò anche a Santa Maria Maggiore e nel convento di San Francesco a Noto. Sopra il portone d’ingresso, c’è lo stemma del vescovo di Noto Giovanni Blandini, una grande aquila a due teste, fatto dal Di Gregorio. Nella volta, la prima arcata nel 1869, si trova quello di Giuditta che uccide Oloferne; segue Gedeone ; Gioele che pianta il chiodo nella testa del tiranno (Giudici 4,21); Abramo che adora il Signore nell’accoglienza di tre uomini (Genesi, 18). Nel transetto a sinistra c’è Davide che taglia la testa a Golia, a destra Abramo che sacrifica Isacco. Nei pennacchi della cupola ci sono i quattro evangelisti con i loro simboli: Matteo – Angelo, Luca – Toro, Marco – Leone, Giovanni – Aquila. Nella volta della cappella centrale c’è Isaia, il profeta della vergine madre di Dio (Is. 7,14); Nel lato sinistro, in alto rilievo, c’è l’adorazione dei pastori; in quello destro, l’adorazione dei Magi.

Quadri ad olio

Nell’altare maggiore domina il grande quadro dell’Annunciazione, che, anche se non firmato, per la bellissima pure, la luce e i colori caratteristici, è attribuito al Danna, e con quello di Santa Maria del 1768, è quasi il testamento spirituale del grande artista. E’ stato restaurato negli anni 60 da Beppe Assenza. Nella cappella di destra è custodito un quadro di Maria Regina, datato 1607, e uno di Sant’Anna, Maria bambina e in alto il padre eterno, forse della prima metà del 1700, che porta in basso lo stemma baronale della famiglia Vaccaro, con toro e stella; Fino al 1954 decorava il terzo altare della navata destra, dove ora c’è l’Altare di Don Bosco . Sopra la porta della sagrestia c’è una un’altra grande tela settecentesca, di fine fattura, non firmata, che rappresenta l’adorazione dei Magi. All’interno c’è un quadro di Sant’Andrea Avellino, dal viso carico di pathos e con profonde note chiaroscurali, che viene attribuito al sommo Caravaggio e quindi dei primi del 1600. Opera d’arte certamente pregevole e la grande tavola dell’Annunciazione, del 1550, in cui è evidente l’influsso manieristico del tempo, attribuibile al pittore Francesco Cardillo, morto a Messina nel 1607. Il grande ritratto con grande cornice di stucchi, sopra la porta del coro, è di Francesco VI Statella e Gaetani, riconoscibile dalle insegne di cavalieri di San Gennaro e la croce dei cavalieri di Malta. L’altro identico a quello di Santa Maria, è di Francesco Statella e Napoli.

Argenteria

Nella parete sinistra della cappella del Santissimo sacramento, in fondo alla navata destra, è custodita la cassa delle reliquie, l’opera più importante dell’oreficeria ispicese, in argento e bronzo dorato datata 1739; eleganti dei semi colonne tortili e il coperchio con quattro medaglioni e fregi floreali. Secondo una tradizione degna di fede, negli anni della Prima Guerra Mondiale, assieme agli altri oggetti preziosi, fu asportata la statuetta in oro massiccio, rappresentando il redentore sopra il globo terrestre, che sovrastava la cassa; al suo posto fu messo un piccolo vaso di legno dorato sormontato dalla croce che forma l’attuale fastigio. Purtroppo nel 1986 un furto sacrilego ha sottratto otto delle 16 statuine dei santi, con la statuetta d’oro, il pregio maggiore dell’opera. La comunità ecclesiale ha in progetto il rifacimento e si ripropone di collega la cassa in un’urna di vetro, come altare principale, con dietro la pala dell’Annunziata, che dormiva nell’antica chiesa. La chiesa possiede anche un grande ostensorio, con base sorretta dalle mani di due robusti angeli e ornata da tre figure di virtù e tre quadri biblici lavorati a sbalzo. Sul fusto è scolpito il sacrificio di Abramo e angeli. Sopra si possono innestare due sfere con pietre preziose a raggiera; una per il Santissimo sacramento, con intreccio di spighe, uva e serafini; l’altra contenente la Santissima spina riccamente ornata da una interna di spine ed una foglia e fiori smaltati.

L’Altare del Cristo alla Croce

Nell’altare destro del transetto, decorato riccamente dagli stucchi del Gianforma, è custodita la sacra immagine del Cristo alla croce. Essendo stato distrutta l’unica statua in legno di silice, durante il terremoto del 1693, il 19/3/1729 fu portato da Avola a Spaccaforno il simulacro del Santissimo Cristo, fatto dal signor Francesco Guarino di Noto, in cartapesta e stucco, è costato 184 once. E’ stato restaurato nel 1985 da Valente Assenza. Si noti il paliotto in marmi colorati, con al centro il velo della Veronica, simile a quello dell’altare destro, del Risuscitato, dove invece è raffigurato l’agnello pasquale. La solenne processione che si fa il venerdì Santo, al posto di quella della S. Spina, risale al 1861.

L’edificio e cenni storici

La pietra di fondazione della chiesa SS Annunziata ad Ispica, fu posta il 21 Ottobre 1703, dieci anni dopo il disastroso terremoto che sconvolse il Val di Noto. L’11 Aprile 1704 fu iniziata l’elevazione della fabbrica, eseguita da maestri siracusani. La consacrazione risale al 1720. Sia l’iniziativa della costruzione che il primo contributo fu, quasi sicuramente, del Principe Francesco V. Statella. Da notizie tramandate oralmente, la nobile famiglia Modica-Boj, per grazia ricevuta, fece costruire a proprie spese le mura esterne fino all’altezza di 3 m. Il Barone Bufardeci donò all’Arciconfraternita un quadro dell’Annunziata, e tutto il suo grande patrimonio.

Durante il terremoto del 4-6 Gennaio 1727 si divaricò l’arcata maggiore che venne puntellata affinché fosse demolita e quindi ricostruita. Nel 1779, su invito della Confraternita, l’Arch. Paolo LABISI, presenta i disegni, conservati in archivio, della decorazione in stile rococò. Purtroppo per i costi elevatissimi non fu realizzato nulla. Alle 11:15 del 23 Marzo 1869, Martedì Santo, cadde il prospetto della chiesa; la causa non fu un terremoto ma, probabilmente, la fatiscenza o imprudenti lavori di restauro. Lo stesso anno il “murifabbro” Orazio AMORE presentò il progetto di una nuova facciata. Un altro progetto fu redatto dall’Ing. Salvatore RIZZA. Ma la costruzione effettiva fu affidata al capomastro scalpellino Carlo DI GREGORIO, realizzata probabilmente sulla base di un disegno elaborato da un grafico originale forse del LABISI o, come riportano altre fonti, elaborato sui testi classici del Palladio, del Vignola e su altri manuali del 1800, dimostrando grande genialità inventiva e notevole abilità soprattutto nei lavori di scultura. Per ragioni economiche non venne ricostruita la prima arcata, e la lunghezza della navata si ridusse agli attuali 47 m circa. Contemporaneamente fu costruito anche il campanile, posto a ponente dietro la chiesa.

Nel 1886 furono rifatte le cupolette laterali da Gaspare RIMMAUDO, secondo la tecnica allora in uso, con scaglie di calcare e gesso. Nel 1894 venne eseguito il pavimento in marmo.

Demolito il precedente campanile del DI GREGORIO, per la sua posizione inadatta alla propagazione del suono, nel primo decennio del 1900, fu iniziata la costruzione dell’attuale torre campanaria ad opera del capomastro Gaspare CAPASSO, su progetto dell’Ing. Vincenzo TOMASI. I lavori si fermarono, però alla possente base quadrata. Furono ripresi nel 1925-26 dal capomastro Salvatore LOREFICE, che innalzò la costruzione fino alle campane. La parte superiore con la cupola è stata eretta nel 1954 dai “mastri” Nigro, Di Gregorio, Di Giacomo e Giuseppe Fava, che saldò la grande croce di m. 4 e 400 kg sulla punta del campanile alta ben 42 m. Nello stesso anno venne costruito il cosiddetto “salone”, nel lato sinistro della facciata. La campana più antica è del 1811; le altre sono del 1953.

A metà degli anni ‘70 è stata eseguita la sostituzione dell’orditura finale di supporto del manto di copertura della chiesa con un rigido solaio in latero-cemento poggiante sia sulla precedente orditura principale costruita da capriate che, di conseguenza, sulle strutture murarie di sostegno. 

I lavori hanno avuto inizio il 30 agosto ‘76 e sono terminati il 19 novembre 1976.

Descrizione dell’intervento di restauro eseguito sul prospetto principale della chiesa

È stato realizzato, con fondi dell’8 per mille, il restauro del paramento lapideo degradato sul prospetto principale, comprendente la stuccatura dei giunti, il fissaggio dei conci e dei frammenti distaccati, la ripresa delle sagome architettoniche erose, l’eliminazione dei perni ossidati e delle vecchie tappature in cemento ed inoltre una accurata pulizia da eseguita con pulitura aeroabrasiva di precisione di tutte le superfici lapidee ad alto e basso rilievo, con polveri abrasive di durezza inferiore a quella del materiale lapideo trattato previa operazione di pre-consolidamento dove la superficie presenta un grado di deterioramento avanzato, fino alla completa asportazione delle polveri e dei grassi. Si provveduto inoltre allo svellimento delle erborescenze, mentre le croste nere e i depositi sono state asportate con bisturi. E stato inoltre previsto ed impiantato un sistema di dissuasori.

Annunciazione (sec. XVIII, Altare Maggiore)

Il dipinto (olio su tela), collocato sull’altare centrale della basilica, è uno dei più belli del Settecento sia di Ispica che dell’area iblea. Il tema vede Maria sul lato destro in basso, inginocchiata in un inginocchiatoio su cui è poggiato un libro aperto. Indossa una veste rossa e un mantello azzurro. Giralo sguardo verso l’alto a destra dove si trova un angelo sopra una nube con una veste bianca e un mantello rosso scuro ad ali spiegate e con dei gigli nella mano sinistra. Al centro della composizione due cherubini; altri due putti alati li sovrastano. In alto ancora un angelo a destra in atto di venerazione assiste alla scena, mentre sempre in alto a sinistra la colomba dello SpiritoSanto dentro una intensa luce gialla, tra volti di cherubini e serafini. In basso a sinistra, sul pavimento si trova una cesta di vimini in cui dentro un drappo bianco si trova una forbice, a voler indicare un lavoro domestico di Maria. La gamma cromatica utilizzata è varia: dal rosso porpora, al blu, dal bianco dorato al rosa pallido e agli azzurrini, ai grigi, all’intensa luce dorata del cielo. L’incarnato rende una bellezza dolce e serafica.L’attribuzione a Vito D’Anna (Palermo, 1718-1769) è fatta dalla Citti Siracusano. Resta comunque una attribuzione non facile al momento, in attesa del riscontro di fonti archivistiche. Un confronto con le altre opere del D’Anna in area iblea, dalle tele della chiesa di San Giorgio di Ragusa, a quella di SantaMaria la Nova a Scicli, a quella della chiesa di Santa Maria Maggiore di Ispica mettono in evidenza un disegno più nitido in questa pala dell’Annunziata; ciò potrebbe far ipotizzare la mano di qualche altro rilevante artista. Un’opera pregevole per il robusto impianto di primo piano dei protagonisti, con una robusta chiarezza compositiva nella pittura settecentesca.

Altare del SS. Cristo con la croce sulle spalle sulla via del Calvario

II gruppo del SS. Cristo con la Croce è un’opera in cartapesta realizzato nel 1729 dallo scultore Francesco Guarino di Avola. Centrale è il valore religioso, essendo l’opera più venerata all’interno della chiesa. Rappresenta Cristo che sale al calvario, con la croce sulle spalle, tra due carnefici, di cui uno negro, che lo colpiscono violentemente.L’altare e il ciclo decorativo in stucco realizzato, tra il 1772 e il 1773, sono opera di Giovanni Gianforma; mentre il paliotto in marmo, opera del catanese Giovanni Marino, probabilmente del1798, comprende il velo della Veronica con l’immagine di marmo in bassorilievo del volto di Cristo tra ramie due testine alate. L’altare è decorato con stucchi: ai lati con le sculture delle allegorie della Carità e Dell’Innocenza; nel timpano spezzato è collocata l’allegoria della Fede tra due angeli e putti.L’altare è stato restaurato di recente nel 2011, con la sostituzione di tutta la parte marmorea e col recupero della parte lignea nella quale sono state recuperate iscrizioni e stemmi risalenti al 1861, anno della prima processione pubblica autorizzata delSS. Cristo con la croce in sostituzione di quella, plurisecolare, della Santa Spina.

Altare SS. Cristo Risorto

Il gruppo scultoreo vede Cristo in gloria tra i soldati romani che scappano smarriti e sorpresi. La scultura del Cristo è in legno e si riferisce al pre terremoto del 1693, mentre i due soldati sono in stucco e sono da riferire alla seconda metà del Settecento. L’altare è stato realizzato da Giovanni Gianforma tra il 1772 e il 1773. L’impaginazione dell’altare è analoga a quello del Cristo con la croce sia negli elementi architettonici che nelle sculture in stucco che si trovano ai lati della nicchia e che rappresentano le allegorie della Speranza e della Mansuetudine, mentre sopra il timpano è rappresentatoDio Padre benedicente, con lo scettro in mano tra angeli, cherubini e serafini. Il paliotto di marmo, probabile opera del marmo raro Giovanni Marino di Catania (1798), vede al centro l’agnello sopra il libro dei Sette sigilli. La statua del Cristo Risorto, in legno(secoloXVI),risale all’antica basilica pre terremoto 1693, ed è stata portata in processione fino alla metà del Novecento, quando fu sostituita (ca.1950) da una statua(più piccola) commissionata dalla famiglia Serrentino alla ditta di scultura e arte sacra Giuseppe Stuflesser (fornitore pontificio) di Ortisei (BZ).Anche questa statua, portata in processione fino ai primi anni Novanta del Novecento, fu sostituita con l’attuale, donata nel 1994 dai coniugi Cicciarella in memoria del figlio Mauro prematuramente scomparso. Anche quest’ultima è opera della ditta Stuflesser che recentemente ha eseguito un restauro (2022).

Altare di San Giovanni Battista

È il primo altare della navata sinistra per chi entra in chiesa. Al centro si trova il fonte battesimale in calcare. Sull’altare la tela del Battesimo di Gesù da parte di San GiovanniBattista nel fiume Giordano. Di spalle al Cristo un angelo ha nelle mani un drappo inattesa di asciugare il Cristo. In alto la colomba dello Spirito Santo tra angeli e putti. La tela anonima, di buona fattura, è da riferire alla metà delSettecento. È stata sottoposta a restauro (2012-2013), affidato alla ditta Luciano Bombeccari di Scicli.

Altare del SS. Crocifisso

È il primo altare entrando in chiesa nella navata destra. La sua architettura vede due colonne tortili e Due putti che reggono un cartiglio posto come chiave d’arco. Li sovrasta un timpano mistilineo con la decorazione di motivi fogliacei e putti. La datazione può riferirsi ai due decenni IV e V del Settecento.Nel 1896 è stato restaurato su commissione del barone Antonino Bruno di Belmonte, allora presidente dell’Arciconfraternita. All’interno si trova il gruppo scultoreo del Crocifisso tra MariaAddolorata e l’evangelista San Giovanni.

Altare di San Vincenzo Ferreri

L’altare di San Vincenzo Ferreri nella sua impaginazione architettonica può essere collocato non molto dopo a quello di San Vito, tra gli anni trenta e gli anni quaranta del Settecento. Ai lati della nicchia, in cui è collocata la scultura lignea del Santo, si trovano le sculture in stucco di un angelo sulla destra che annuncia al grande sacerdote Zaccaria, che si trova sulla sinistra, la nascita di suo figlio Giovanni il Battista. Chiude in alto un timpano aggettante spezzato arricchito da putti e testine alate. San Vincenzo Ferreri (nato a Valencia nel 1350 e morto nel 1419), dell’ordine dei predicatori, proclamato santo nel 1455, è rappresentato in una scultura lignea con l’abito domenicano, con le ali, la fiamma sulla fronte, il dito destro levato a indicare l’atto del predicare e un crocifisso nella mano sinistra. È probabile che l’opera sia da riferire allo stesso periodo della costruzione della cappella.

Altare delle Anime del Purgatorio

L’architettura dell’altare si struttura con due paraste che si concludono con plinti molto aggettanti decorati da testine di putti (tre per lato). Li sovrasta un aggettante timpano spezzato che vede nel suo interno un cartiglio e due putti ai lati. Nei bordi interni della cappella si trova una tenda in stucco. A destra e a sinistra, davanti alle paraste, sul lato sinistro un angelo addita con la destra Sant’Anna che si trova davanti alla parasta di destra. Sia la parte architettonica che quella scultorea possono essere datati tra il quarto e il quinto decennio del Settecento. Al centro della cappella si trova il dipinto che rappresenta la Messa di San Gregorio Magno in cui il Papa, di fronte alla incredulità di qualche fedele durante la celebrazione di una messa, mentre offre il calice con l’ostia consacrata e col vino, si accorge che questi elementi miracolosamente si trasformano nel corpo e nel sangue di Cristo. Il papa Gregorio, che indossa una veste bianca, un ampio mantello e la tiara pontificia in testa, inginocchiato, volge lo sguardo in alto verso la Trinità (l’Agnello Pasquale, Gesù Cristo, Dio Padre e lo Spirito San- to); con la mano sinistra regge un calice. Lo affianca un angelo che versa il sangue di Cristo nel calice verso il basso dove si trovano le anime del Purgatorio per essere salvate. Un altro angelo regge una spada e una bilancia, simboli dell’arcangelo Michele. L’opera, anonima, può essere contemporanea alla realizzazione della cappella con le decorazioni in stucco, tra gli anni trenta e gli anni quaranta del Settecento. L’opera pittorica è stata recentemente riconosciuta meritevole di un intervento di restauro con un finanziamento dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana (anno 2022). 

L’altare di San Vito

L’altare di San Vito, si trova nella seconda cappella della navata destra. Con ogni probabilità, il culto del santo doveva essere presente nell’antica chiesa dell’Annunziata che si trovava all’interno della “Forza”. È da collocare tra gli anni trenta e gli anni quaranta del Settecento. Il Santo, siciliano, di Marsala, morto durante le persecuzioni di Diocleziano nel 303, è rappresentato come un ragazzino di una corte settecentesca: indossa una marsina con sottoveste lunga sino al ginocchio chiusa da bottoni, un abito in uso tra fine Seicento e prima metà del Settecento; con la destra tiene la palma del martirio, con la sinistra una croce. L’altare è composto da stucchi interessanti, comprendenti due angeli ai lati della nicchia, due lesene con rari capitelli compositi, un cartiglio nella trabeazione, putti e testine alate nel timpano. Non conosciamo né l’autore della statua del santo, né l’autore degli stucchi, un bravo stuccatore comunque, attivo in area iblea negli anni trenta-quaranta del Settecento, che propone uno stile dentro il classicismo tardobarocco prezioso ed elegante. Il paliotto in marmi policromi, opera del marmoraro catanese Giovanni Marino, del 1794, propone una raggiera ad otto punte tra motivi fogliacei e due testine alate come peducci della mensa.

Altare di San Giovanni Bosco

L’altare probabilmente era dedicato, una volta, a Sant’Anna e Maria Bambina o alla Madonna di Trapani. Alla fine del 1945 viene introdotto il nuovo culto di San Giovanni Bosco e l’altare viene dedicato appunto al Santo piemontese, indubbiamente il più celebre santo piemontese di tutti i tempi, nonché su scala mondiale il più famoso tra i santi dell’epoca contemporanea: la sua popolarità è infatti giunta in tutti i continenti, ove si è diffusa la fiorente Famiglia Salesiana da lui fondata, portatrice del suo carisma e della sua operosità, che ad oggi è la congregazione religiosa più diffusa tra quelle di recente fondazione. Giovanni Bosco nacque presso Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) in regione Becchi, il 16 agosto 1815, frutto del matrimonio tra Francesco e la Serva di Dio Margherita Occhiena. Cresciuto nella sua modesta famiglia, dalla santa madre fu educato alla fede ed alla pratica coerente del messaggio evangelico. morì in Torino il 31 gennaio 1888, giorno in cui è ricordato dal Martyrologium Romanum e la Chiesa latina ne celebra la Memoria liturgica. Dal Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Noto, Novembre-Dicembre 1945, Anno IX, n. 11-12, Organo Ufficiale mensile degli Atti vescovili e della Curia, alla pagina 123, si legge: “I Padri Salesiani in Ispica. La Ven. Confraternita della SS. Annunziata, in Ispica, ha avuto la lodevolissima idea di procurare alla fanciullezza e gioventù maschile di quell’importante paese il beneficio di un Oratorio Festivo diretto dei RR.mi PP. Salesiani. Mediante la generosità del Presidente stesso della Confraternita, Sig. Giovanni Pietro Dott. Modica Barone di S. Giovanni, e delle distintissime signorine Sorelle Vaccaro, si è potuto apprestare subito tutto il necessario occorrente perché i RR.mi PP. aprissero una loro Casa in Ispica. L’Ecc.mo Mons. Vescovo, in linea eccezionale, addivenne molto volentieri a concedere agli stessi RR.mi Padri la cura della Parrocchia SS. Annunziata. Ottenuto, pertanto, il relativo permesso della S. Sede, l’amato nostro Pastore, il giorno 9 Dicembre si portò personalmente ad Ispica a conferire il possesso canonico di quella Parrocchia al R.mo Sacerdote Salesiano D. Giuseppe Sutera. Nel pomeriggio poi inaugurò solennemente la Casa dei RR. Padri e l’annesso Oratorio Festivo.” La presenza salesiana, durata diversi anni, ha lasciato una traccia profonda all’Annunziata non solo per la statua e il culto di San Giovanni Bosco e l’altare (restaurato nel 2010 con il contributo dei coniugi Iozzia e La Ferlita in memoria del caro giovane figlio Carmelo scomparso prematuramente in un tragico incidente). Ma anche per la nascita, nel 1993, dell’Associazione Cattolica “Don Bosco” dei devoti e portatori del SS. Cristo con la Croce.

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